A cura di Sara Mazzeo, Noemi Novello, Concetta Russo, Marco Terraneo, Mara Tognetti
Università degli Studi di Milano Bicocca, Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale
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Abstract in linguaggio facile da leggere
Questo è un testo scritto dall’Università Bicocca.
L’Università Bicocca lavora al progetto L-inc.
L’Università Bicocca scrive,
ogni anno,
un testo su come va il progetto L-inc.
L’Università Bicocca fa delle interviste alle persone
che fanno parte del progetto L-inc,
alle loro famiglie,
ai loro educatori.
Attraverso queste interviste
l’Università Bicocca studia il progetto L-inc.
Nelle interviste,
le persone parlano di due temi:
il lavoro e la vita indipendente.
Nelle interviste,
le persone parlano dei loro desideri
e delle fatiche
che vivono per raggiungere i loro desideri.
Il testo parla anche degli obiettivi
che L-inc ha raggiunto
e degli obiettivi che L-inc
non ha ancora raggiunto.
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Articolo
Durante questi primi due anni di progetto, il gruppo di ricerca del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca ha condotto un attento e costante monitoraggio dei cambiamenti che L-inc ha promosso nel lavoro degli operatori, nella gestione del carico dei famigliari e nella vita delle persone con disabilità.
Nonostante sia troppo presto per parlare di esiti del progetto, a questo punto del lavoro è interessante comparare i risultati dell’indagine svolta durante il primo anno, con quelli di questa seconda tornata di interviste e rilevamenti, a un anno dalla scrittura e dall’attivazione dei progetti di vita. In questo breve articolo ci vogliamo concentrare in particolare su quanto emerso dalle interviste con le persone con disabilità, per riflettere sui punti di forza e sulle criticità del cammino intrapreso all’interno del progetto.
Durante la prima annualità, il gruppo di ricerca ha intervistato, in accordo con operatori e famigliari, tredici delle diciannove persone con disabilità che partecipano al progetto sin dal suo avvio, raccogliendo le loro aspettative e i loro desideri rispetto a vari campi della loro vita. Nella prima tornata di interviste, due temi in particolare erano emersi dalle riflessioni delle persone con disabilità: la volontà di vivere in maniera indipendente dalla famiglia di origine e la volontà di trovare un lavoro che rendesse possibile tale indipendenza.
1. Promuovere la vita indipendente
Secondo i dati diffusi dall’ISTAT nel 2012, in Italia vivono circa tre milioni di persone con grave disabilità e, di questi, duecentomila vive in istituzioni sanitarie di carattere residenziale (come ad esempio le RSA, Residenze Sanitarie Assistenziali). Il 70% delle persone con disabilità è affidato alle cure informali dei propri familiari, e il 54% delle persone con disabilità in caso di necessità ricorre solo all’aiuto di famigliari. La situazione dei nostri intervistati non è molto distante dalle statistiche nazionali: su 13 persone con disabilità, 10 vivono con le loro famiglie di origine, 2 vivono in maniera indipendente e 1 vive in una comunità.
La sperimentazione già precedentemente avviata da Anffas Lombardia conosciuta come “Casa Arcipelago” ha sicuramente rappresentato, anche all’interno del progetto L-inc, uno strumento importante per la promozione della vita indipendente, dando la possibilità a 8 intervistati su 13 di migliorare le proprie risorse personali per una futura autonomia domestica. Nonostante confrontando le interviste della prima annualità con quelle della seconda annualità non siano aumentati né il numero delle persone con disabilità che usufruisce di questa opportunità, né il numero di notti che queste ultime trascorrono presso l’appartamento, alcuni importanti cambiamenti di gestione sono stati introdotti durante la seconda annualità. In particolare, una delle persone con disabilità intervistate, ci ha descritto come la sostituzione della figura professionale dell’educatore con quella del facilitatore abbia portato un grande cambiamento nelle responsabilità delle persone con disabilità che partecipano a questa sperimentazione.
Il facilitatore –ci racconta M.- interviene solo in caso di estrema necessità, perché siamo noi a dover essere responsabili delle attività domestiche e dobbiamo renderci utili ai nostri coinquilini. (…) Mentre l’educatore era molto più collaborativo e ci aiutava in molte cose, il facilitatore tende a fare le cose proprie senza guardare sempre quello che facciamo noi (…) ed è meglio perché il percorso di autonomia sta avendo il suo punto d’arrivo. (intervista registrata, 10/04/2019)
Nelle parole di M., il cambiamento della figura professionale che accompagna la vita quotidiana all’interno di Casa Arcipelago rappresenta un punto importante all’interno di quello che lui definisce il “percorso di autonomia”. Ciò nonostante, le altre persone con disabilità che abbiamo avuto modo di intervistare, si sono concentrate su altri aspetti, come ad esempio la possibilità di aumentare il numero di notti che trascorrono presso la struttura. Cosa che trova, in taluni casi, come emerso dalle interviste, come principale ostacolo la predisposizione della famiglia di origine.
Parlando di vita indipendente, sicuramente la situazione più pressante è quella di S., che vive in comunità poiché ha perso entrambi i genitori. S. aveva già espresso durante la prima annualità il suo desiderio di lasciare la comunità e avviarsi verso una vita indipendente, ma, data la complessità del cambiamento che si richiede in questa situazione, non è stato finora possibile raggiungere questo risultato, nonostante il buon grado di autogestione raggiunto dalla persona con disabilità. Il desiderio di S. di vivere fuori dalla comunità non solo è in linea con gli obiettivi del progetto L-inc, ma evoca anche l’articolo 19 della Convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità del 2006. Tale articolo non solo sancisce il diritto delle persone con disabilità alla vita indipendente ma, come ben spiegato dall’ente britannico che si occupa di disabilità (UK Office for Disability Issues), afferma anche che tutte le persone con disabilità dovrebbero avere:
lo stesso diritto di scelta, controllo e libertà di ogni cittadino, a casa, al lavoro e come membri della comunità. Ciò non significa necessariamente che le persone con disabilità "debbano fare tutto da sole", ma significa che qualsiasi assistenza pratica di cui queste hanno bisogno dovrebbe basarsi sulle loro scelte e aspirazioni .
La vita indipendente (fuori da strutture residenziali) è certamente una caratteristica cruciale per realizzare quel cambio di paradigma che permette a una persona con disabilità di beneficiare pienamente dei diritti di cittadinanza, ed è anche un requisito fondamentale per l'inclusione sociale (Parker e Clements, 2008). Ma anche vivere indipendentemente dalla famiglia di origine può rappresentare una questione importante da affrontare per un progetto che ha come scopo quello di accompagnare le persone con disabilità verso un futuro in cui, trattandosi di adulti, alcuni dei quali con genitori già anziani, la capacità di vivere da soli sarà fondamentale. Ad ogni modo, considerando la vita indipendente come un obiettivo a lungo termine è comprensibile che, a questo punto del progetto, sia difficile intravedere già miglioramenti concreti. Inoltre, se promuovere la vita indipendente per S. potrebbe essere considerato un passo importante per valutare l'efficacia e l'efficienza della sperimentazione, promuovere la vita autonoma dalle famiglie di origine implicherebbe un supporto notevole da parte di queste ultime che, come è emerso sia dalle riunioni con gli operatori che dalle interviste, non è ancora del tutto maturato.
2. Promuovere l’opportunità di una persona con disabilità di trovare un lavoro
Il secondo tema, emerso in quasi tutte le interviste, è la volontà delle persone con disabilità di trovare un lavoro, sia perché desiderano diventare economicamente indipendenti dalla loro famiglia di origine, sia per ottenere gratificazione personale. La possibilità di accedere ad una posizione lavorativa retribuita è uno dei caratteri fondamentali del vivere sociale, e vedersi preclusa questa possibilità non è necessariamente, solo un problema economico, ma anche un problema di diritti e di definizione identitaria. Nonostante la riconosciuta importanza del lavoro come promotore di inclusione sociale e, nel caso delle disabilità psichiche, come potenziale vantaggio terapeutico (Callegari, 2009), secondo quanto stimato dall’ISTAT, in Italia solo il 24,8% dei disabili di genere maschile e di età compresa fra i 15 e i 44 anni (fascia di età di cui fanno parte i nostri intervistati) ha un’occupazione lavorativa, la percentuale scende al 20,4% se si guarda alle loro coetanee di genere femminile (ISTAT, 2017) . L’espressione del desiderio di trovare un’occupazione retribuita può essere dunque considerata, all’interno del panorama nazionale, non solo lecita ma auspicabile per un progetto, com’è L-inc, che vuole promuovere il cambiamento e l’integrazione sociale degli individui.
Durante la prima annualità, sette su tredici intervistati avevano dichiarato che la possibilità di trovare un lavoro durante il progetto era la loro motivazione principale per aderire a L-inc, al punto che, il già citato M., quando gli abbiamo chiesto quali fossero gli obiettivi del progetto, ha risposto "Si tratta di essere più indipendenti e trovare un lavoro stabile" (intervista registrata, 14/02/2018). S2, aveva espresso con forza il suo desiderio di lavorare dicendo: "I miei genitori mi aiutano con le bollette ma stanno invecchiando ... vorrebbero morire sapendo che io ho un lavoro stabile" (intervista registrata, 19/02/2018). S3, durante la prima intervista si era lamentato di essere “stanco di frequentare uno stage non retribuito come cameriere, mi piacerebbe avere già un lavoro retribuito” (intervista registrata, 03/07/2018). Le tre persone con disabilità citate, quando le abbiamo incontrate per la prima volta, svolgevano tirocini non retribuiti, che sono, secondo alcuni studiosi, un espediente comune per eludere il problema di dare alle persone con disabilità un lavoro, occupando il loro tempo in attività che sono raramente finalizzate all'ottenimento di un impiego effettivo (Onnis, 2013).
Durante la seconda ondata di interviste, abbiamo potuto constatare che solo uno su tredici dei partecipanti al progetto ha ottenuto durante il primo anno di sperimentazione un’occupazione regolare e retribuita. S3, che ha espresso la sua soddisfazione durante la nostra ultima intervista, dicendoci:
Il mio desiderio principale era di avere un lavoro stabile e di avere la patente, ho ottenuto il primo, ho un contratto a tempo indeterminato come cameriere in un ristorante locale ... e sto lavorando per ottenere la mia patente. (...) Non vivo ancora da solo ma ora, a Casa Arcipelago, ho il mio mazzo di chiavi ... bello, vero?
(intervista registrata, 10/04/2019)
Il percorso lavorativo degli altri partecipanti non mostra gli stessi risultati. M. è stato coinvolto in due diversi corsi di informatica durante il primo anno di progetto, ma li ha trovati difficili e ci ha detto: "Non so se questi corsi mi aiuteranno a trovare un lavoro ... il mio futuro sembra incerto, non posso dire" (intervista registrata, 10/04/2019). S2 è ancora alla ricerca di un lavoro e sta mantenendo il suo tirocinio non retribuito per "non annoiarsi" (intervista registrata, 09/05/2019).
In questo periodo storico, sperimentare difficoltà nel trovare un lavoro stabile è un problema molto comune per i giovani adulti, di conseguenza è necessario tener presente che aiutare le persone con disabilità a trovare un impiego è certamente un compito impegnativo e dispendioso in termini di tempo. Inoltre, uno studio recente mostra che, anche quando ottengono un’occupazione retribuita, le persone con disabilità ricevono uno stipendio sostanzialmente più basso e non hanno accesso a posizioni meglio remunerate (Maroto e Pettinicchio, 2014). Nello studio, i due sociologi definiscono questo tipo di disuguaglianza strutturale come "segregazione occupazionale", riferendosi al modo in cui la segregazione dalla società potrebbe essere attuata in diversi scenari, come ad esempio limitando i guadagni e i successi all’interno del mercato del lavoro di una specifica categoria dei cittadini.
Partendo da queste premesse, constatare che, in solo un anno dall’avvio dei progetti di vita, L-inc è riuscito ad aiutare uno dei partecipanti a ottenere un lavoro stabile non dovrebbe essere considerato un risultato di poco conto. Vale ad ogni modo la pena di sottolineare che gli stage non retribuiti sono una questione critica da monitore al fine di evitare di promuovere involontariamente altre forme di segregazione professionale.
Conclusioni
Alla fine della nostra seconda intervista, P. ci ha detto con un sorriso “questo è un progetto per parlare! Ci fai parlare molto!” (intervista registrata, 15/05/2019), riferendosi al fatto che ci eravamo appena congedati da lei con la formula “ci vediamo l'anno prossimo per la nostra terza intervista". La sua osservazione, nonostante fosse estemporanea, ha suggerito un'ulteriore riflessione sul ruolo svolto nel progetto dal gruppo di ricerca. Uno degli obiettivi principali del progetto L-inc era ascoltare le persone con disabilità, utilizzare i loro desideri e le loro necessità come punto di partenza per progettare i loro supporti e, più ambiziosamente, il loro "percorso di autonomia", come ben descritto da M. Di conseguenza, la nostra missione come scienziati sociali corrispondeva al monitorare lo svolgersi delle attività e valutare i progressi e le eventuali battute d'arresto o criticità.
In fase di preparazione degli strumenti, l’obiettivo di intervistare le persone con disabilità che partecipano al progetto ha richiesto molte considerazioni metodologiche ed etiche. La nostra prima preoccupazione era di poter parlare direttamente con loro, senza la mediazione dei membri della loro famiglia e degli operatori. Abbiamo considerato questo compito cruciale per ottenere la possibilità di ascoltare le loro richieste, speranze e sentimenti riguardo al progetto, senza l'influenza dei genitori o degli educatori, che avrebbero potuto in qualche modo influenzare la nostra interpretazione e invalidare lo scopo fondamentale del progetto: dare alle persone con disabilità il potere di esprimersi in prima persona, di essere protagonisti in ogni fase progettuale. Dal punto di vista metodologico, abbiamo quindi considerato l'intervista semi-strutturata come un testo guida, impiegando in ogni incontro un approccio qualitativo. Questo tipo di approccio offre, infatti, il grado di flessibilità per prendere in considerazione le capacità di comunicazione specifiche di ogni persona con disabilità e di adattare di conseguenza la nostra intervista.
Inoltre, rivolgendosi in maniera diretta alle persone con disabilità, nella maggior parte dei casi senza la mediazione di un operatore o di un familiare, il gruppo di ricerca ha assunto per le persone con disabilità un ruolo non convenzionale. Un interlocutore che non aveva alcun potere decisionale, né dovere socio-educativo, e che si avvicinava a loro al solo scopo di ascoltare, libero da qualsiasi legame di cura o di affetto. Così, molte delle narrazioni che i nostri intervistati hanno condiviso con noi e che abbiamo analizzato nei paragrafi precedenti, sono state rese possibili dalla loro percezione della nostra "neutralità": la maggior parte di loro ha capito che non eravamo coinvolti nei servizi socio-educativi che gestiscono i loro sostegni, e ha visto questa neutralità come un’occasione per parlare liberamente. Quest'ultimo aspetto è stato cruciale non solo per garantire al gruppo di ricerca la possibilità di portare avanti il monitoraggio, ma anche per creare uno spazio di autoaffermazione per le persone con disabilità coinvolte nel progetto, in linea sia con gli obiettivi di L-inc, sia con la postura etica che noi, come ricercatori, abbiamo deciso di assumere.
In conclusione, il progetto "Inclusione sociale e disabilità" ha mostrato fino ad ora di essere in grado di imbracciare un metodo più inclusivo per progettare i sostegni e valutare i bisogni, dando la possibilità alle persone con disabilità di partecipare e di essere ascoltate. Mentre porre in atto i cambiamenti che permettano alle persone che abbiamo intervistato di raggiungere i loro obiettivi personali di indipendenza e inclusione è un processo ancora lungo e che andrà valutato a progetto concluso.